La parola a Sant-Beuve, il più illustre e celebrato critico  letterario dell’ottocento e non solo francese : <che cos’è il desiderio di gloria degli uomini, a bordo di questa terra che naviga nello spazio infinito dove, un giorno,  farà naufragio? Mi sembra di vedere su una grossa nave destinata al naufragio numerosi passeggeri, non uno dei quali arriverà a destinazione. I primi morti nutrono il folle desiderio di occupare la memoria dei superstiti, di chi, a sua volta, scomparirà quanto prima negli abissi . E’ vero a vederlo da vicino il vascello è immenso, i passeggeri di un ponte non conoscono quelli dell’altro, la poppa ignora la prua. per questo nasce l’illusione. E’ vero anche che, mentre in un angolo della nave si muore, non molto lontano si danza, si celebrano matrimoni, si festeggiano nascite. E’ vero che l’equipaggio si riproduce e non diminuisce di numero, ma che importa? Nonostante questo, il tutto è votato a una sola medesima fine. Nessuno uscirà da questa massa galleggiante per andare a depositare il suo nome o quello dei suoi simili sulle costiere sconosciute, sui continenti e le isole senza numero che punteggiano il meraviglioso azzurro. Tutto accade qui dentro e a porte chiuse. Vale la pena? La mia è una lunga parafrasi, ma Pascal ha reso questo pensiero con una sola frase: <Quanti regni ci ignorano!> Si, quanti regni ci ignorano. Ci sentiamo  al centro del mondo, arbitri del suo destino, depositari dei suoi misteri, mentre non siamo nulla, non contiamo nulla e nulla sappiamo. Viviamo in balia del fato, che può esserci ostile o propizio per ragioni insondabili che sfuggono alla più acuta e profonda disanima. Eppure lottiamo, si lottiamo,  e quanto lottiamo. La vita è fatta di sfide, alcune, le più onerose, inflessibili fino alla spietatezza, altre, affascinanti e gloriose. combattiamo queste e quelle senza conoscere l’esito. La sorte ha voluto e a noi non resta che adeguarci. La vita  quella vera, quella vissuta fino in fondo, c’insegna tante cose, soprattutto a non ammainare mai le vele. Forse come dice Sainte.Beuve caustico e pessimista, c’è un solo e ineluttabile epilogo: il naufragio. Mi sono spesso anche io, e più passano gli anni e più me lo chiedo, che ci sartà dopo. Per conoscere questa verità folgorante e atroce, bisogna congedarsi da questo mondo e approdare a un altro, se esiste. Una sola certezza ci accompagna lungo l’esistenza : siamo un infinitesimale atomo di un cosmo eterno e infinito e dobbiamo con eroica fermezza e composta dignità prenderne atto. E allora perché siamo venuti al mondo? Chi ci ha voluto far soffrire  e godere? IL Grande orologiaio? Il Supremo Architetto? non lo sapremo mai. ma nessuno può chiederci di vivere come dei robot, come un automa, come l’epicureo oraziano sollecitato a godersi ogni attimo della giornata. Una filosofia che il poeta romano compendiava nel motto : “carpe diem”. A me questo non basta. Io voglio tentare di andare oltre le colonne d’Ercole della conoscenza, della più alta conoscenza, pur consapevole della loro invalicabilità. Batterò la testa contro il muro senza la presunzione e neppure l’illusione di demolirlo. Esso regge a ogni urto, ma io non posso sottrarmi a questa prova dura e diuturna, a questo sforzo tanto immane quanto vano. C’è in me un anelito alla lotta, lo stimolo alla competizione impossibile da cui uscirò sconfitto, ma spiritualmente vivo e moralmente in pace con me stesso. Il mio è un anelito all’eternità. Chi mi ha dato la forza di combattere? Ma l’ha data una forza superiore(chiamatela come vi pare) E, se me l’ha data, una ragione ci sarà. Quale ragione? La ignoro, ma non mi arrendo.