Sono stufo della gente stufa

di Giulio Cavalli

«I passeggeri sono pregati di non dare monete ai molestatori. Scendete perché avete rotto. E nemmeno agli zingari: scendete alla prossima fermata, perché avete rotto i coglioni»: la bile unta dei piccoli vigliacchetti odiatori seriali questa volta non si è sparsa su qualche bacheca Facebook ma ha risuonato splendida negli altoparlanti del treno 2653 partito da Milano in direzione Cremona-Mantova. La voce sarebbe quella della capotreno, dipendente Trenord, che avrebbe pensato bene di dare sfogo alle proprie interiora con un messaggio nella sua veste di pubblico ufficiale scambiando il convoglio per il confessionale delle trasmissioni trash su cui si acculturano troppi italiani stanchi.

(…) Anch’io sono stufo. Sono stufo della gente stufa. E siccome questo tempo mi dice che ne ho il diritto allora mi piacerebbe scriverle, due cose.

Rivendico il diritto di non tollerare gli intolleranti, ad esempio, di non sentirli miei concittadini, di sperare che l’unica vera secessione avvenga tra me e chi ha avuto bisogno di trovare un uomo forte che organizzasse il loro odio e lo rendesse lecito perché da soli non avrebbero nemmeno il coraggio di bestemmiarsi addosso davanti allo specchio. Rivendico il diritto di essere stufo di coloro che solo da rabbiosi riescono a sentirsi vivi. Come scrisse nella seconda metà del ‘600 Jean de La Bruyère (poiché gli odiatori sono banali e scontati da secoli) “parlare e offendere per certuni è precisamente la stessa cosa. Sono pungenti e amari; il loro stile è misto fiele e assenzio: lo scherno, l’ingiuria, l’insulto sbavano dalle loro labbra come saliva. Sarebbe utile per loro essere nati muti o imbecilli: quel tanto di vivacità e arguzia che hanno nuoce loro più di quanto non riesca a nuocere a qualcun altro la stupidità”.

Sono anche esasperato dagli esasperati: quelli che non si esasperano per l’evasione fiscale e per la corruzione che arrugginisce la loro classe dirigente ma sono pronti a farsi esplodere per un negro qualsiasi che compia un gesto qualsiasi in uno spettro che va dalla semplice maleducazione alla strage, indifferenti alla gravità dell’azione ma concentratissimi sulla tonalità dell’epidermide. Sono esasperato dagli esasperati che non si esasperano per le mafie ma credono di sconfiggerle bloccando navi e svuotando ghetti, con tutta l’ignoranza di chi non riconosce nemmeno le vittime dai carnefici eppure si illude di avere a portata di mano la soluzione. Non sopporto la rabbia che monta per i braccialetti venduti sulle spiagge e non chieda piuttosto alla polizia locale come abbia potuto non accorgersi dei braccianti che tutte le mattine si assembrano pronti per essere caricati dal primo caporale che li sversa nei campi come letame.

Rivendico il diritto di essere stufo della gente stufa dei poveri, come se fossero loro un disturbo alla quiete pubblica piuttosto che il sistema di predatori finanziari che si aggira intorno all’Europa. Sono stufo anch’io dei professoroni, quelli che tengono lezioni dentro ai bar con aria saputella sui 35 euro ai migranti (senza capirne un’acca) e intanto si perdono i miliardi di euro (sì, miliardi di euro) che le multinazionali evadono in Europa togliendosi per di più lo sfizio di riempirci con i loro marchi e prodotti. Sono stufo, esasperato e indignato dalla guerra agli ultimi di chi si accontenta di sentirsi penultimo per darsi arie da borghesia: i benpensanti che si riempiono lo stomaco delle disgrazie altrui per potersi non occupare delle proprie, quelli che provano ristoro addormentandosi sapendo che anche stasera qualcuno starà peggio di loro. E ne godono.

La gente stufa sono quelli che non hanno il coraggio di chiamare con il suo nome la vendetta: ce la propongono come la naturale conseguenza di un mondo giudicato in base ai propri pregiudizi e si illudono di fare la rivoluzione chiamando cambiamento la legge del taglione. E si sentono moderni, quasi futuristi eppure hanno lo stesso odore dei principi degli schiavi, quelli che sopravvivevano nell’arena e vagheggiavano di essere liberi.

Il leghismo spiegato semplice semplice. Partendo dai referendum per l’autonomia Ma ve li ricordate i referendum per l'autonomia in Lombardia e Veneto? Era il 22 ottobre scorso, anche se sembra passata un'era, e cinque milioni di persone si sono...

Il leghismo spiegato semplice semplice. Partendo dai referendum per l’autonomia

Ma ve li ricordate i referendum per l’autonomia in Lombardia e Veneto? Era il 22 ottobre scorso, anche se sembra passata un’era, e cinque milioni di persone si sono prodigate per andare al seggio, molte di loro assolutamente convinte che fosse giunto finalmente il momento di quel Prima il nord! che campeggiava sui manifesti appesi dappertutto. La “battaglia del secolo” l’aveva chiamato il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni nel giorno successivo, il 23 ottobre. Ancora più chiaro il presidente del Veneto Luca Zaia che, con ammirabile sprezzo del ridicolo, aveva annunciato che il risultato del referendum avrebbe restituito alla regione ben 23 materie (…) oltre ai “9/10 delle tasse che rimarranno in Veneto”. “Diventerà il nostro contratto che proporremo al Governo”, dichiarò Zaia a urne ancora calde, ammonendo: “Io credo che a Roma si rendano conto di quello che sta avvenendo. Stiamo scrivendo una pagina di storia. Da domani il Veneto non sarà più quello di prima”. Anche il segretario della Lega Matteo Salvini non lesinò le parole roboanti: “Meglio di così non poteva andare. Abbiamo vinto sui poteri forti cinque a zero. Ora mi aspetto che il governo dica quando intende accogliere questa richiesta che sale dal popolo”, disse.

Ve li ricordate i referendum? Vi ricordate la rivoluzione promessa? Ora osservate cosa è cambiato: nulla, niente, zero, nisba. Eppure l’onda emozionale ha funzionato: se provate a scavare nella memoria degli elettori (sempre più breve, sempre più labile e sempre più veloce) molti di loro vi racconteranno dei governatori leghisti che hanno fatto tutto il possibile per ottenere l’autonomia e sono stati bloccati dal governo centrale. E non fa niente che ora (ancora, per l’ennesima volta) il governo siano loro, non conta che il Prima il nord! sia stato sostituito dal Prima la Calabria! in Calabria, Prima la Sardegna! in Sardegna, Prima le Marche! nelle Marche e così via, declinato per ogni regione d’Italia, senza nemmeno un cenno di vergogna per un propaganda che si contraddice senza nemmeno bisogno di un contraddittorio. E non importa nemmeno che l’autonomia della Padania sia praticamente scomparsa dalle priorità del partito di Salvini, mica per niente eletto in Calabria giusto per sottolineare (se ce ne fosse bisogno) la truffa elettorale.

Eppure il referendum per l’autonomia della Lombardia e del Veneto è lo specchio perfetto di ciò che è diventato il leghismo: un approdo aleatorio per chi sente che non possa andare peggio di così ed è disposto a votare il meno peggio, quello che promette meglio anche se le promesse non sono ragionevolmente realizzabili, ben disposto a sognare e abituato a disilludersi. Il leghismo (ancor più sotto la guida di Matteo Salvini) è la continua riproposizione di problemi piuttosto che di soluzioni: tutti bravissimi a sparare rivoluzioni a salve, aspettare che la gente dimentichi e poi riproporle di nuovo riuscendo a sfruttare sempre le stesse speranze.

“Sarà anche solo un referendum consultivo ma è sempre meglio di niente”, dicevano. Così come “è meglio di niente” il crocifisso nelle scuole, sognare la sparizione della microcriminalità colpendo una razza, vagheggiare di risolvere il problema dell’immigrazione a colpi di tweet e di qualche barca respinta, farsi sedurre da un’idea di sicurezza basata sulla microcriminalità (anche questa divisa per razze). L’elettore di Salvini è così: anche se non serve a niente, meglio di niente, dice. E non serve a niente. E non è mai meglio di niente. È niente.

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(Resto del Carlino, nonrassegna)

(Resto del Carlino, nonrassegna)