Sono state molte le voci di protesta che si sono alzate  davanti ai nomi dei dieci saggi scelti da Napolitano, tra i quali non vi è nemmeno una donna.

 La più icastica è stata Emma Bonino, che ha commentato: «Vedremo prima una donna cardinale che una donna al Quirinale». Ma si tratta di un esempio su cui è necessario riflettere, perché non si tratta semplicemente della solita assenza nelle sfere del potere, ma ha rivelato con chiarezza che, quando si tratta di selezionare un insieme di saggi, le donne non vengono neppure prese in considerazione. In un contesto del genere, infatti, alle donne non si pensa: se si devono trovare persone caratterizzate da una buona esperienza professionale e/o politica, le donne scompaiono. Neppure oggi, quando ormai la presenza di qualche nome e volto femminile è diventata quasi un obbligo per qualsiasi giunta amministrativa, posto di governo, commissione, di destra o di sinistra non importa. Questa assenza di donne fra  saggi rivela crudamente come in genere sia finta e vuota di significato e di potere la presenza femminile proprio nelle istituzioni politiche dove viene invocata come obbligatoria. Perché le donne vengono sì cooptate e accolte, ma come rappresentanti di una sorta di oppressa”, priva di un’adeguata rappresentanza e quindi da tutelare, così come lo sono “i giovani”, “gli immigrati” e, perché no, “gli animalisti”.

Se poi si riesce a combinare in una stessa

persona più di una minoranza, per esempio

nominando una donna giovane, sembra che si

siano fatti finalmente grandi passi in avanti.

Verso che cosa, non è chiaro: anche se

avessimo come ministro una donna giovane

immigrata e animalista – quasi il massimo

della rappresentatività – non si sarebbe fatto

un vero passo in avanti nell’eguaglianza

femminile. Perché, come ben sapevano le

femministe di fine Ottocento, si ottiene una

vera parità solamente quando si viene trattate

come gli uomini sul piano professionale: cioè

se si scelgono le donne nelle posizioni di

potere per le loro qualità individuali, per la

loro esperienza professionale e non come

rappresentanti di un gruppo svantaggiato.

Possibile che non ci fossero donne con un

curriculum comparabile a quello dei dieci

saggi? Naturalmente cene sono, e anche più di

una, così come ci sono donne più che degne di

essere candidate alla presidenza della

Repubblica-ma anche qui i nomi di candidate

eccellenti vengono sempre messi in fondo

all’elenco, quasi per obbligo, come se non

fosse una vera proposta – perché al Quirinale

non si viene scelti come simbolo di

rappresentanza, ma soprattutto per qualità

personali: non è come alla presidenza della

Camera, ruolo di alto valore simbolico, ma di

poco potere, dove può anche andare una

donna.

In realtà, donne in posizioni di potere scelte

per meriti personali le abbiamo avute nel

governo Monti – e pensiamo anche alla

nomina di Anna Maria Tarantola alla

presidenza della Rai – ma si trattava di un

governo non eletto e che, almeno al momento

della composizione, non pensava alle elezioni.

Oggi invece pensare alle elezioni vuol dire

strizzare l’occhio agli “esclusi”, se non

addirittura badare alla bella presenza, alla

fotogenia e cose simili. Questo tipo di selezione

non avveniva per le donne che hanno

ricoperto ruoli importanti nella vita pubblica

dei decenni passati, come Tina Anselmi o

Nilde Jotti, personaggi non spendibili come

immagine, ma scelte per le loro qualità

personali.

L’affermarsi della politica-spettacolo non

ha giovato all’ingresso delle donne in politica:

se anche gli uomini, spesso, sono scelti per la

loro bella presenza, come dimostra la

crescente presenza di giornalisti televisivi

bellocci fra i candidati, figuriamoci le donne. A

questo poi si aggiunge il crescente discredito

nei confronti della “casta”, i cui membri hanno

in genere, però, decenni di esperienza politica

alle spalle e conoscono perfettamente i

meccanismi parlamentari, che si afferma in

un crescendo demagogico che porta alle

cariche importanti persone impreparate, che

però si possono presentare come immacolate.

Senza pensare che proprio per la loro

mancanza di esperienza sono più facilmente

manovrabili dalle vecchie volpi di partito.

Queste tendenze danneggiano la presenza

delle donne in politica più drasticamente di

una diminuzione numerica di elette: se le

donne elette aumentano, ma contano sempre

meno, se alle capacità provate e all’esperienza

professionale si preferisce sempre un bel

faccino innocente e impreparato, sarà sempre

più difficile per le donne essere scelte tra i

“saggi”, o aspirare seriamente alla presidenza

della Repubblica. In sostanza, cantando felici

per l’aumento delle elette, le donne non si

accorgono di contare sempre di meno nella

realtà della vita politica italiana.                Lucetta Scaraffia

socrate