Pietà per la nazione i cui uomini sono pecore
e i cui pastori sono guide cattive
Pietà per la nazione i cui leader sono bugiardi
i cui saggi sono messi a tacere
Pietà per la nazione che non alza la propria voce
tranne che per lodare i conquistatori
e acclamare i prepotenti come eroi
e che aspira a comandare il mondo
con la forza e la tortura
Pietà per la nazione che non conosce
nessun’altra lingua se non la propria
nessun’ altra cultura se non la propria
Pietà per la nazione il cui fiato è danaro
e che dorme il sonno di quelli
con la pancia troppo piena
Pietà per la nazione – oh, pietà per gli uomini
che permettono che i propri diritti vengano erosi
e le proprie libertà spazzate via
Patria mia, lacrime di te
dolce terra di libertà!

Pier Paolo Pasolini
(Contro la disinformazione)

Trova l’intruso (sopressatira)

Trova l’intruso(sopressatira)

Uomini e ominicchi… (Contro la disinformazione)

Uomini e ominicchi

(Contro la disinformazione)

(vento ribelle)

(vento ribelle)

(Good morning Vietnaaam)

(Good morning Vietnaaam)

nessuno degli attori della politica dirà che nel mondo s’investono circa mille e ottocento miliardi di dollari all’anno in armamenti quando ne basterebbero quaranta per porre fine alla fame del mondo. Una piccola cifra che eviterebbe queste migrazioni. Secondo i dati sottostimati dell’ong Save the Children presentati all’Expo nel maggio 2015, ogni anno nel mondo muoiono almeno tre milioni di bambini per malnutrizione e altri duecento milioni soffrono la fame. Ma in fondo, questo interessa all’italiano medio che ieri non è andato a votare seguendo l’ordine del pastore di turno? Lo stesso ordine che un tempo gli era impartito da Craxi e poi da Berlusconi e infine da questa perfetta miscela in salsa fiorentina. Sempre disciplinati, incapaci di alzare la testa e per una volta essere padroni di se stessi. La realtà è che dopo decenni di costanti sobillazioni collettive a molti interessano di più le vicende dei naufraghi dell’Isola dei famosi e non quelle dei quattrocento morti affogati in un mare di egoismo.
Gianluca Ferrara

 

 

 

 

 

 

 

A migrant boy waits at his parents’ suitcase as they leave the Berlin State Office for Health and Social Affairs with other newly arrived refugees who waited all day to apply for asylum in Berlin. REUTERS/Stefanie Loos

A migrant boy waits at his parents’ suitcase as they leave the Berlin State Office for Health and Social Affairs with other newly arrived refugees who waited all day to apply for asylum in Berlin. REUTERS/Stefanie Loos

Seven year-old Ariana, a Kurdish-Syrian immigrant, rests before crossing into Macedonia along with another 45 Syrian immigrants near the border Greek village of Idomeni in Kilkis prefecture. REUTERS/Yannis Behrakis

Seven year-old Ariana, a Kurdish-Syrian immigrant, rests before crossing into Macedonia along with another 45 Syrian immigrants near the border Greek village of Idomeni in Kilkis prefecture. REUTERS/Yannis Behrakis

 

A Syrian refugee kisses his daughter as he walks through a rainstorm towards Greece’s border with Macedonia Yannis Behrakis Non so da dove arrivi questo papà. Non so cosa stia dicendo alla sua bambina mentre se la tiene stretta in braccio a poche miglia da Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia. Forse le racconta che va tutto bene, che c'è lui e che non c'è più niente di cui preoccuparsi. Che se c'è papà che ti tiene stretta e ti solleva da terra, l'acqua bagna meno e il freddo resta chiuso fuori. Almeno dal cuore. Forse nemmeno le parla perché il fiato gli serve per camminare con quel fagotto prezioso che ha portato via a una guerra, alle bombe e alle granate, alle mine e ai proiettili vaganti che non hanno rispetto dei bambini come non ce l'hanno dei grandi. Chissà se oggi, finalmente, può riposarsi le gambe e farci sedere sopra la sua bambina. Chissà dove è finito, in che Paese è stato accolto. Chissà se ha una casa, un lavoro o se è costretto a vivere della carità di chi lo ospita e lo vorrebbe rimandare là da dove è venuto. Fargli rifare tutto il percorso inverso: riprendersi sua figlia tra le braccia e riportarla a morire sotto il cielo da cui piovono le bombe di fuoco invece che i torrenti d'acqua Deborah Dirani

A Syrian refugee kisses his daughter as he walks through a rainstorm towards Greece’s border with Macedonia
Yannis Behrakis
Non so da dove arrivi questo papà. Non so cosa stia dicendo alla sua bambina mentre se la tiene stretta in braccio a poche miglia da Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia. Forse le racconta che va tutto bene, che c’è lui e che non c’è più niente di cui preoccuparsi. Che se c’è papà che ti tiene stretta e ti solleva da terra, l’acqua bagna meno e il freddo resta chiuso fuori. Almeno dal cuore. Forse nemmeno le parla perché il fiato gli serve per camminare con quel fagotto prezioso che ha portato via a una guerra, alle bombe e alle granate, alle mine e ai proiettili vaganti che non hanno rispetto dei bambini come non ce l’hanno dei grandi.
Chissà se oggi, finalmente, può riposarsi le gambe e farci sedere sopra la sua bambina. Chissà dove è finito, in che Paese è stato accolto. Chissà se ha una casa, un lavoro o se è costretto a vivere della carità di chi lo ospita e lo vorrebbe rimandare là da dove è venuto. Fargli rifare tutto il percorso inverso: riprendersi sua figlia tra le braccia e riportarla a morire sotto il cielo da cui piovono le bombe di fuoco invece che i torrenti d’acqua
Deborah Dirani